mercoledì 30 dicembre 2015

It Follows (2014)



Dopo il primo incontro amoroso con il suo ragazzo, Jay si risveglia legata ad una sedia. Lui le spiega che le ha trasmesso un virus, una maledizione, per cui sarà perseguitata da misteriose figure (a volte sconosciuti, altre persone familiari) che tenteranno di ucciderla. L’unico modo per liberarsi da questa condanna è andare a letto con qualcuno, passando a lui la dannazione.

“It Follows”, esso ti segue, già il titolo è qualcosa di geniale creando un alone di mistero attorno a questa cosa, a questa entità malefica che perseguita la protagonista del film e già dalla prima scena, che urla “Capenter” a pieni polmoni, capisci che siamo di fronte ad un prodotto di ottima levatura, perché si David Robert Mitchell, si ispira al regista di “Halloween”, ma lo fa con intelligenza , senza scopiazzare, ma ricreando a modo suo le ambientazioni in cui si muoveva Michael Myers.



Così pur avvicinandosi agli horror degli anni 70 e 80, “It Follows” ne è anche enormemente distante: le scene sanguinolente si contano sulle punte di tre dita, non ci sono rumori improvvisi o mostri che appaiono da dietro l’angolo, ma questo film riesce a essere altrettanto angosciante e spaventoso, grazie alla continua minaccia, che pur camminando lentamente, risulta inarrestabile. Il regista si muove molto bene dietro alla macchina da presa creando ottime inquadrature che scendono in morbosi dettagli. Perfetta anche la fotografia, che rispecchia l’animo dei protagonisti impauriti e malinconici e splendida la colonna sonora, che pure richiama il cinema Carpenteriano.
Il film non è certo privo di difetti, soprattutto di sceneggiatura, basti pensare alla scena della piscina che risulta un po’ forzata, e in altre scene i personaggi si comportano in maniera poco logica, ma stiamo pur sempre parlando di un horror e in ogni caso, in un prodotto del genere, qualche sbavatura si perdona.



Per quanto riguarda i significati, quello più evidente è quello di giovani abbandonati a se stessi e alle loro paure, in cui gli adulti sono assenti, se non peggio, nemici (l’entità nella già citata scena della piscina ne è une esempio). Mitchell invece si mantiene più vago sulla malattia (il male del secolo non viene mai nominato), non ci dice da dove proviene, non ci spiega chi sono questi esseri, non è ben chiaro nemmeno se voglia metterci in guardia dalla promiscuità sessuale, come faceva una vecchia pubblicità degli anni 80 e strizzando l’occhio al Cronenberg de “Il demone sotto la pelle” (e comunque ai teen-horror in generale in cui una regola non scritta prevede che chi cede al peccato della lussuria non arrivi vivo a fine film),o invece ci spinga ad avere più avventure possibili, dato che è l’unico modo di togliere la maledizione è passarla ad un’altra persona attraverso un rapporto sessuale.
 E così si arriva al bellissimo finale, aperto, ma per nulla consolatorio, un finale che ci lascia quella sensazione di disagio e inquietudine che fanno di questo film, uno dei migliori prodotti di genere dell’anno.

mercoledì 23 dicembre 2015

Non è buono ciò che è buono

E' quasi Natale: ecco dunque un racconto a tema, un po' diverso dai soliti...

“Perché mi fai questo?” chiese il piccolo Filippo rannicchiato in un angolo accanto al caminetto acceso.
“Perché sei stato cattivo” rispose l’uomo ridendo, e calò con forza la mannaia sulla testa del bambino, provocando un rumore secco, come di legna spezzata. Il sangue schizzò sul pavimento, sulle pareti e sulle tende della finestra; alcune gocce arrivarono addirittura sul soffitto. Poi gettò il corpo dentro ad un sacco, se lo caricò in spalla e se ne andò.
Arrivato a casa, passò per la cucina dove svuotò il sacco sul grosso tavolo in legno.  Ne uscirono una mezza dozzina di piccoli corpicini, alcuni dei quali fatti a pezzi, che macchiarono la tavola di sangue ancora fresco. Per un istante, l’uomo si ritrovò a fissare gli occhi ancora spalancati, dell’ultimo bambino a cui aveva fatto visita, ma si affrettò a distogliere lo sguardo.
“Ketkrókur!” chiamò
Un omino, basso di statura, arrivò tutto trafelato: "Si, capo!?"
“E’ arrivata la cena” rispose l’uomo indicando i cadaveri sul tavolo “i vestiti gettali con gli altri nello scantinato…Io intanto vado a lavarmi…”
“Va bene capo”
Mentre Ketkrókur, faceva bollire quelle tenere carni, l’uomo si infilò sotto la doccia bollente, lasciando che l’acqua gli scivolasse su tutto il corpo, portandosi via tutta la stanchezza accumulata quel giorno. Poi si insaponò per bene, lavando con cura la folta barba, e prima di uscire, si concesse una sega, ripensando a quella graziosa brunetta della sera prima. I migliori cinquanta euro spesi per una scopata.
Indossò l’accappatoio rosso, e poiché la cena non era ancora pronta, si accese un sigaro che andò a fumare in veranda. Le stelle erano particolarmente luminose quella sera e l’aria, fresca e frizzante; una serata ideale per portarsi avanti con il lavoro. Cominciava a essere stanco, erano ormai tre mesi che lavorava tutti i giorni, quattordici ore al giorno, la maggior parte delle quali di sera. Ma ormai mancava poco, ancora un paio di settimane e se ne sarebbe andato in vacanza; quest’anno a Santo Domingo, spiagge calde e ragazze seminude.
“Prima però mi ci vuole qualche lampada abbronzante” pensò “sono bianco come un cadavere”
Una voce interruppe i suoi pensieri.
“Cosa?”
“E’ pronto, capo” ripetè Ketkrókur
La grande tavola era stata preparata per una sola persona. Lui voleva così. Quando aveva finito, i suoi aiutanti potevano sedersi tutti assieme e finire quello che era rimasto, o anche cucinarsi qualcosa in più se preferivano, ma prima lui doveva mangiare da solo.
Consumò il suo pasto avidamente, e dopo essersi pulito la barba con il dorso della mano, si lasciò sfuggire un grosso rutto.
“Beh, devo ammettere che non eravate così cattivi come credevo. Anzi siete stati proprio gustosi”
Rise di gusto a quella battuta; poi andò al mobile bar e si versò un bicchiere di cognac, che ingurgitò tutto d’un fiato.
Un altro piccolo omino entrò silenziosamente nel soggiorno
“Capo, è tutto pronto, i sacchi li abbiamo già caricati…”
“Oh…grazie” rispose l’uomo “prima però portami un po‘ di quella roba”
“Ma capo…” obiettò l’omino
“Ohh…non rompere i coglioni anche tu…o ti faccio fare la fine di tuo cugino…”
“Okey…scusa” disse l’omino sparendo alla svelta.
Ritornò dopo pochi minuti portando una bustina piena di polvere bianca.
L’uomo ne prese una manciata, e dopo averla ben sistemata sul tavolo, la fece sparire su per il naso.
“Bene ora posso anche andare”
L’uomo indossò il suo vestito rosso da lavoro, i suoi stivali neri da lavoro, poi uscì e salì sul suo pick-up da lavoro.
Un altro di quei piccoli omini arrivò di corsa:
“Santa Claus, le liste!” disse consegnando due grosse agende
Grazie, Giljagaur” rispose l’uomo
Sulla prima delle due agende, era scritto in grandi caratteri dorati: “BAMBINI BUONI”, e dopo una veloce occhiata la gettò sul sedile posteriore. Poi prese la seconda agenda, sulla quale era scritto in caratteri cubitali rossi “BAMBINI CATTIVI”, la sfogliò fino a che arrivò alla pagina segnata con una piegatura; con la penna cancellò l’ultimo nome non ancora depennato, poi accese il motore e partì.


giovedì 17 dicembre 2015

Womb (2010)



Rebecca e Tommy si conoscono quando entrambi hanno nove anni, tra loro nasce subito una bella amicizia, che presto si trasforma in qualcosa di più profondo. Purtroppo lei deve partire con i genitori, ma non dimentica il ragazzino che le ha fatto battere forte il cuore, infatti dodici anni più tardi, ormai adulta, torna dal suo amato e tra i due sembra poter riprendere la storia, come se il tempo non fosse mai passato. Ancora una volta però il destino è loro avverso, e Tommy muore in un incidente stradale. Incapace di rassegnarsi alla perdita del ragazzo, Rebecca si rivolge ad un "Dipartimento di replicazione genetica" e si fa impiantare nell'utero, il clone del nuovo Tommy.



La vicenda di "Womb", pone di fronte a più di qualche interrogativo. Innanzitutto quello sulla scelta etica di Rebecca; certo da fuori è facile dire che la donna ha commesso un errore, e che la sua è una decisione "contro natura", ma credo che vissuta, la situazione sarebbe molto diversa. Diciamo che Rebecca si era per un attimo illusa di poter riportare realmente in vita il suo Tommy, ma una volta cresciuto in grembo (Womb appunto), quello non sarebbe più stato semplicemente il suo amato, ma per prima cosa sarebbe stato suo figlio e anche una volta cresciuto tra loro poteva esserci solo un rapporto madre-figlio, ma forse a lei questo sarebbe bastato, e forse proprio per questo aveva scelto un posto isolato per crescerlo, in modo di tenerlo tutto per se, e una volta adulto, amandolo in modo platonico.



Tuttavia non aveva fatto i conti col fatto che Tommy si facesse degli amici prima, e si trovasse una ragazza poi, cosa che chiaramente la faceva soffrire, senza che potesse però esprimere questo suo dolore.Inoltre, in almeno due occasioni, notiamo che Tommy ha degli slanci d'affetto verso usa madre, che hanno qualcosa di più dell'amore filiale; la prima, quando ancora ragazzino lotta con lei sulla spiaggia difronte a casa, una lotta che ha qualcosa di selvaggio e sensuale, fino a quando i loro due visi arriveranno a sfiorarsi e gli sguardi che sembrano esprimere qualcosa di proibito. La seconda, quando già adulto, dopo aver gettato per scherzo la rete da pesca addosso a Rebecca, infila la testa sotto la maglia di lei in un gioco che si rivela presto "sbagliato". E qui arriviamo ad un altra tematica interessante, molto cara al regista, cioè su quanto possano influenzare i geni la crescita di una persona e quanto può farlo l'ambiente in cui questa si forma. Secondo Fliegauf, i geni contano più dell'ambiente, ma a questo punto, viene da chiedersi se i geni hanno memoria; e nello specifico della vicenda narrata, ci si domanda se è possibile che prelevando i geni di una persona morta, questi conservino parte dei ricordi di questa persona, e trasmettendo questi ricordi alla nuova persona. Poi c'è la questione dell'incesto, che in questo contesto ha una valenza quasi edipica da una parte, ma anche una sorta di punizione dall'altra, perché Rebecca sa che una volta consumato il rapporto con il figlio-amante, lo perderà per sempre.



A parlare di una tematica simile, ci aveva già pensato quasi più di quarant'anni prima, Louis Malle, in "Soffio al cuore", che seppur raccontato con maggior leggerezza, quasi con candore direi, la vicenda era a ben pensarci, più scandalosa, perché ingiustificata se non dal fatto del puro desiderio sessuale; mentre in "Womb" ci sono una serie di eventi che portano al determinarsi inevitabile di quel fatto.Infine c'è il tema appena sfiorato nel film, di declassare i cloni come cittadini di serie B, di ritenerli dei diversi...il punto è che se nessuno sapesse che sono dei cloni verrebbero trattati come persone normali, che poi è quello che succede a Tommy bambino fino a quando viene scoperta la verità, che nemmeno lui conosce. E in ogni caso far pagare ai bambini le scelte errate dei genitori è comunque sbagliato di per se.Partendo da uno spunto fantascientifico, poi il regista ci racconta una storia umana, piena di punti interrogativi e questioni morali di non facile soluzione. Lo fa ambientato la vicenda in un paesaggio isolato, gelido in cui vincono i colori freddi: il bianco, l'azzurro, poco verde, bellissima dunque la fotografia, che aiuta a mantenersi concentrati nella vicenda. Bravissimi anche i protagonisti, in particolare Eva Green spesso costretta a dover recitare solo con le espressioni del volto.


lunedì 14 dicembre 2015

Le dieci peggiori frasi da sentirsi dire

Questo post ha un intento ironico; cercare di sorridere su situazioni difficili o quanto meno imbarazzanti, perciò non prendetelo troppo sul serio, cercate piuttosto di vedere il lato satirico della cosa.
Naturalmente, nell'elencare le dieci peggiori frasi che ci possa sentir dire, ho tralasciato veri problemi, sui quali non è bello scherzare.
La classifica è in ordine inverso, cioè dalla frase meno "brutta" per finire con la più "cattiva":

10. "Le faremo sapere..." (Quante volte ce la siamo sentita dire...ad un colloquio di lavoro, ad provino per uno spettacolo, all'audizione per entrare in una band...Oramai non ci si fa più caso, ma tutti sappiamo che il novanta per cento delle volta che ci viene detta, poi la risposta sarà sempre negativa.)

09. "Patente e libretto, prego!" (Magari poi non succede nulla, ma tu nel tuo sai già che se hai trovato il poliziotto stronzo, il carabiniere fiscale o il vigile che vuole rimpinguare le casse del comune, non hai scampo, basta una lampadina leggermente bruciacchiata o lo specchietto inclinato male per assicurarti una multa e la detrazione dei punti patente.)

08. "Serve la fattura?" (Che a dirtela sia il meccanico, l'idraulico o il dentista poco cambia, Tu sai già che il prezzo dell'operazione sarà da debito pubblico. Di qui il dilemma morale se essere partecipe di una truffa, che farebbe felice li tuo creditore; dilemma che di solito dura meno di un battito di ciglia. Nonostante ciò, lo sconto che ti verrà offerto non eviterà di farti piangere quando aprirai il portafoglio.)

07. "E' finita la carta igienica..." (Tu sei lì, seduto tranquillamente, hai appena finito di liberarti dei residui delle cene di Natale, Santo Stefano e Capodanno, dopo aver completato le parole crociate a schema libero difficili della Settimana Enigmistica e cerchi il rotolo nel suo supporto, ma la mano non afferra niente. Dopo un secondo di panico chiedi aiuto ai tuoi famigliari, ma loro ti urlano che l'oggetto del desiderio è al momento esaurito. A quel punto non ti resta che decidere se sporcarti la mano, le mutande, o intasare lo scarico con le pagine del Quesito con la Susi.)

06. "Cielo, mio marito" (La frase può essere coniugata anche al femminile, e può sembrare uno sketch da cinepanettone di Boldi e De Sica, ma trovarsi in questa situazione è tutt'altro che divertente; anche se pure i cinepanettoni non lo sono. Dover fuggire da una situazione compromettente e potenzialmente dannosa per i vostri connotati, vi farà rimpiangere le partite a calcetto con gli amici con temperature siberiane.)

05. "Hai una matita in tasca?" (Anche questa può sembrare una pessima battuta da commedia studentesca, ma in realtà è in grado di ferire l'orgoglio di qualsiasi maschio dai dodici anni in su.
Qualsiasi siano le dimensioni reali dell'attrezzo, per il suo proprietario sarà sempre lungo e grosso e paragonarlo ad un mezzo lapis è ferire la virilità del soggetto in questione. Piuttosto ditegli che la sua squadra del cuore fa schifo.)

04. "Era l'ultima birra." (Finalmente è sabato sera, dopo una settimana lavorativa in cui il vostro capo vi ha fatto fare gli straordinari sugli straordinari, e un pomeriggio passato in giro per negozio con la vostra compagna, che sì è provata dozzine di vestiti e un numero infinito di paia di scarpe, ecco ora è il vostro momento; seduti in mutande in poltrona a guardare la partita o il vostro film di Van Damme preferito, sorseggiate dell'ottima birra ghiacciata, ma quando vi alzate per prenderne un'altra, ecco che lei vi stronca ricordandovi che quella era l'ultima.)

03. "Occupato!" (C'è poco da fare, quando scappa, scappa, ma ci sono momenti in cui trovare un bagno è di vitale importanza e se lo trovi occupato inizia una sofferenza degna del peggiore dei gironi infernali. Non è come quando sei bambino, che se anche la fai in un angolo al massimo ti prendi uno scappellotto; se provi a farlo da adulto rischi una denuncia per atti osceni, per cui ti ritrovi a fare la danza della pioggia, sperando che la pioggia non sia quella nei tuoi pantaloni. Se poi quello che ti scappa è roba grossa, è meglio che fai testamento.)

02. "Il codice non è valido." (Se la frase proviene da uno sportello bancomat dopo il terzo tentativo di inserire il codice di sicurezza che non ricordi perché l'hai scelto più complicato della successione di Fibonacci per renderlo impossibile da identificare da eventuali rapinatori, allora improperi ed eresie fioccheranno come multe in un giorno di mercato. E se pure il prete ti sentisse, capendo il problema si unirebbe a te nell'inventare nuove imprecazioni.)

01. "Dobbiamo parlare..." (In qualsiasi delle sue varianti, quando un uomo si sente dire questa frase dalla sua donna, sa che non c'è più niente da fare. Colpevole? Innocente? Non cambia nulla. Sei sempre stato bravo, romantico, gentile, rispettoso? Non cambia nulla. Quando lei ti dice quella frase si è già messa in testa che qualcosa non va, per cui, se va bene, ti devi sorbire una serie di idee per ravvivare il vostro rapporto, se va male è finita, sei storia. E anche se ti tappi le orecchie per non sentire quell'orribile frasi, ormai sarà troppo tardi. Lei ha deciso.)


giovedì 3 dicembre 2015

Quattro spritz all'aperol e una coca

(Questo è il primo racconto fatto per il primo corso di scrittura creativa...E' stato "solo" un gioco fatto partendo da un incipit comune, ma già si capisce il mio stile e il fatto che mi piacciano i finali che lasciano aperti punti interrogativi...)

Sam non sapeva se fosse un buon segno o l'inizio di una catastrofe, aveva sempre pensato che quello fosse uno dei segni dell'Apocalisse e per questo, vedere Owen arrivare puntuale, era una cosa che lo preoccupava. Da quando lo conosceva, cioè da circa vent'anni, Owen non era mai arrivato in orario ad un appuntamento, infatti la sua idea di puntualità era di arrivare almeno venti minuti dopo gli altri; non lo faceva di proposito, era semplicemente fatto così.
Una sera, lui ed Owen, erano rimasti d'accordo di trovarsi a casa sua alle dieci, per poi andare a sentire una band locale in un pub poco distante, ma Owen si presentò soltanto alle undici e un quarto. Sam aveva passato gli ultimi quindici minuti a mangiare nervosamente caramelle, in uno stato d'animo altalenante tra la rabbia e la preoccupazione che potesse essergli accaduto qualcosa. Owen si giustificò dicendo che un improvviso mal di pancia lo aveva costretto ad una "ritirata" strategica.
"Avresti almeno potuto avvisarmi, non sapevo cosa pensare" si lamentò Sam
Owen fece spallucce, lui trasse un profondo sospiro e la storia finì lì.
Inizialmente questi continui ritardi gli davano piuttosto fastidio e lo rendevano nervoso; poi ci fece l'abitudine, così come gli altri amici della compagnia, e ora ci scherzavano sopra.
Una volta Michael disse che Owen sarebbe arrivato tardi ad un appuntamento con Jessica Alba che lo aspetta a gambe aperte. Un'altra volta qualcuno, forse Chris, disse che sarebbe arrivato in ritardo anche al proprio funerale.
Quella sera Owen aveva dato appuntamento a tutti alle sette al "Feeling".

Sam parcheggiò nell'antistante spiazzo ghiaioso e quando scese dall'auto vide che ad attenderlo c'erano già Michael, Dave e Chris, mancava naturalmente solo Owen, ma non fece in tempo a finire il pensiero che un'auto lo affiancò e ne scese proprio il suo amico. Sam rimase sbalordito per un attimo, poi pensò che probabilmente era in ritardo anche lui, ma quando controllò l'orologio, vide che segnava le sei e cinquantacinque.
Pensò che dovesse essere accaduto qualcosa di veramente straordinario perché Owen fosse in perfetto orario, ma il suo volto non lasciava trasparire nulla, era quello di sempre.
Assieme raggiunsero gli altri, che nel frattempo si erano seduti ad un tavolino del bar.
"Owen ti senti bene?" chiese Dave "Hai visto che..."
Owen lo interruppe con un gesto della mano e gli sorrise.
"Ordiniamo?" chiese
Gli altri annuirono. Lui alzò un braccio per attirare l'attenzione della cameriera.
"Quattro spritz all'aperol e una coca"
Quando lei si allontanò Owen tornò a guardare i suoi amici che lo fissavano perplessi. Si accese una sigaretta, aspirò profondamente e soffiò il fumo verso l'alto.
Il campanile vicino suonò le sette.